Le sempre maggiori informazioni presenti in rete e il sempre maggiore interesse dei chitarristi per il vintage dei poveri hanno portato il mercato all'offerta di repliche di tutte le forme e i colori, più o meno fedeli ai mitici strumenti europei degli anni '60. Andiamo a vedere cosa offre il mercato e alcuni aspetti del fenomeno che per alcuni versi, quello razionale, appare paradossale. Ma siamo nel campo del feticismo, diamine!
Iniziamo dai piccolissimi costruttori che si ispirano alle migliori cose del passato realizzando strumenti di altissimo pregio, alto costo e rara reperibilità.
È stato da sempre il caso di , liutaio inglese che, pur non costruendo repliche di chitarre vintage, è stato il primo, dal 73, a esplorare il concetto di chitarra bizzarra. Ha modificato le proporzioni dello strumento un poco come fu fatto per errore col seno di Lara Croft. I suoi strumenti sono rari e preziosi e assolutamente fatti a mano nel Regno Unito. Ormai un classico. Se il nome vi è familiare non vi state sbagliando. Strane coincidenze di cui parleremo sotto.
Continuiamo con lo svizzero , che dalla metà degli anni '90 ha realizzato strumenti di gran pregio che avevano, per sua ammissione, tra le fonti di ispirazione Wandré e in generale i fasti del design industriale italiano incluso Sottsass e il gruppo Memphis.
Oggi la stessa filosofia è adottata dal liutaio australiano che recupera le tecniche originarie soprattutto di Wandré e fa gran uso di alluminio e plastica. Piccoli capolavori-tributo.
In Italia è più recente il caso delle Billy Boy Guitars, già note agli appassionati e strumenti di culto. L'unico appunto è che aspettiamo il loro sito da troppo tempo.
Il liutaio inglese Trevor Wilkinson invece è stato il primo a farlo industrialmente ed è da considerare l'anticipatore della moda del vintage dei poveri per i poveri. Il suo marchio è tutto un programma: . Nata nel 1999, Italia produce in Corea strumenti che, col senno di poi, sembrano intelligenti, fatti bene e divertenti. Wilkinson ha preso gli elementi mitici del passato e li ha usati per rendere un tributo ironico all'italico stile. Madreperla, plastica e brillantini a tutto spiano. Forme Eko e Crucianelli, Hagström e Wandré passate al frullatore con un pizzico di ironia. Da anni però ha praticamente smesso di produrre e l'unico modello in catalogo rimane la Maranello.
Ma chi ha trasformato la moda e la nostalgia in miniera d'oro è stato l'ex collezionista e giornalista Mike Robinson, fondatore di Eastwood nel 2001 (avete già sentito questo nome vero?). Oggi magnate del vintage-à-porter, Robinson ha attinto dal design del passato a piene mani potendo copiare e riprodurre gli esemplari della sua collezione. All'inizio l'operazione fu fatta un poco elasticamente rispetto alla proprietà e all'eredità dei marchi. Oggi Eastwood è un colosso della replica, con un catalogo impressionante. E soprattutto è riuscito a sopravvivere alle maledizioni di un liutaio inglese e degli eredi di un artista emiliano. La legge americana non è la più equa in materia di brevetti e protezioni dei marchi. Sapevatelo.
Ormai ogni giorno si vedono nascere nuove realizzazioni nostalgiche. Ultima ma solo per poco, la riedizione da parte della Pure Salem Guitars dell'italica Meazzi Zodiac.
Ora immaginate i vecchi marchi assistere al gran giro di soldi indotto dalla nuova moda basata sulla loro storia. Che fare? Si producano riedizioni, perbacco!
I tre grandi poli produttivi del passato Germania/Svezia/Italia hanno reagito in modo diverso alla replica-mania imperante. Tre reazioni dovute a radici storiche e tecniche diverse.
Le due tedesche Framus e Höfner non hanno mai smesso di esistere nel settore musicale e si sono buttate nel business della replica in modo sostanzialmente identico. Hanno valorizzato il passato con sezioni dedicate alla loro storia e ai loro modelli vintage e aperto dei musei aziendali sia virtuali sia reali. Offrono assistenza e pezzi di ricambio per tutti gli strumenti del passato, esattamente come fa Porsche per le auto.
Hanno quindi prodotto chitarre ispirate ai vecchi modelli cercando di mantenere alti gli standard qualitativi e rimanendo filologicamente fedeli alle soluzioni dell'epoca. Il prezzo è medio alto per un mercato così affollato, dai 500 euro per Höfner fino a 1500 per Framus.
Naturalmente entrambe le serie sono prodotte in Asia. Höfner dichiara e rivendica nel "Chi siamo" del suo sito: "We are located at Hagenau, Bavaria, Germany and also at Beijing, China".
Framus addirittura costruisce il proprio menù di navigazione del sito dividendo gli strumenti made in Korea da quelli, contemporanei, fatti in Germania. Chapeau.
La storia di Hagström e di Eko è sempre stata legata a doppio filo. Entrambe produssero chitarre sin dalla fine degli anni '50 convertendo l'industria della fisarmonica ed entrambe hanno chiuso all'inizio degli anni '80 nonostante gli sforzi di costruire strumenti ben fatti, come la SuperSwede o la Eko M24, negli ultimi anni. Prodotti di fascia alta in cui la costruzione sul suolo nazionale era un valore da sbandierare contro l'invasione dei "musi gialli". La concorrenza asiatica e varie difficoltà interne le cancellarono dal mercato. E così sia Eko sia Hagström in tempi recenti hanno ripreso la produzione in oriente per sfruttare l'enorme valore dei loro marchi presso i baby boomer europei e squattrinati.
Fatte in Asia, le Eko e le Hagström occupano due fasce di mercato diverse. Hagström ripropone sostanzialmente uguale la gamma degli anni 70/80 con gli aggiornamenti e i risparmi del caso. Il concorrente diretto di Hagström sono gli strumenti di fascia medio-alta di Ibanez, Aria e Yamaha. Stessa qualità, stesse prestazioni, probabilmente stesse fabbriche. Fascino europeo. Il basso semiacustico Viking mi piace molto, lo dico nel caso esistesse Babbo Natale.
Eko ha riproposto le repliche degli anni '60 e ha scelto di occupare la fascia economica della prima chitarra per tutti. La riedizione cinese della Rokes si porta via con meno di tre banconote da cinquanta euro. La fascia di poco superiore è stata presidiata con le riedizioni di strumenti classici dei 70/80. Ranger e M24 su tutti.
Gli appassionati hanno gridato allo scempio pur rallegrandosi della rinascita di un marchio storico. A Eko viene soprattutto rimproverata la produzione industriale in Cina dimenticando che la tutela della salute, del reddito, e della qualità del lavoro degli operai italiani negli anni '50 non era lontana dalle condizioni attuali in Cina.
A margine segnaliamo che operazione simile e conseguente rinascita si è avuta anche per il marchio inglese Burns, che è andato a occupare la fascia alta. Non è chiaro dove avvenga la produzione ma sul sito si parla di artigiani e faggio britannico.
L'analisi tecnica ed estetica dei vari modelli di ciascun produttore richiederebbe molto più spazio e qualche esemplare in prova (la redazione è libera di dare il mio indirizzo ai produttori naturalmente).
Io mi limito a notare due aspetti al limite del paradosso. Il primo è che tecnicamente la riedizione di oggi è una interpretazione a basso costo di chitarre che all'epoca erano interpretazioni a basso costo degli strumenti americani. Devo dedurne che l'estetica è il fattore di scelta predominante?
Il paradosso numero 2. Spesso il prezzo dell'originale è pericolosamente vicino alla riedizione.
Discussione aperta.