Dalla fine del nostro gruppo “I Tidalrace” avvenuta nel 1987, quando il lavoro andava aumentando, io ero sempre più impegnato come sviluppatore di programmi gestionali per PC presso un negozio di Torrette di Ancona, non toccai più il basso per svariati mesi. L’anno successivo mio fratello Emanuele decise di sposarsi a soli 22 anni, andando ad abitare in una casa appena fuori paese.
Negli anni la sua passione lo aveva spinto a partecipare al “Festival degli Sconosciuti” di Ariccia, alle selezioni “Voci Nuove” di Castrocaro e a Montecatini, con esiti discutibili. A Montecatini, dove mi chiese di accompagnarlo, ad esempio, dovendo portare un brano inedito scritto appositamente da un gruppo musicale della nostra zona, la base fu suonata ad un volume decisamente più basso dell’esibizione del precedente cantante della zona, cosa che ci innervosì molto. Ce ne andammo subito a cena senza vedere il piazzamento, prima di ritornare a casa. Partecipò anche al “Super Karaoke” di Fiorello e alla trasmissione “Sei un Mito” del 2005 andata in onda su Canale 5, dove cantava un brano di Biagio Antonacci, arrivando fino alla finale, ma già sapendo di non poter vincere. Con lo stesso brano anni prima, in una discoteca della nostra zona, aveva vinto una settimana bianca a Pejo. Spesso era chiamato anche a suonare la sua elettrica e a cantare come corista in altri gruppi di nostri amici.
Tornando al 1988 nel mio tempo libero dal lavoro da programmatore, oltre agli allenamenti in palestra, stavo progettando un preamplificatore per chitarra in un doppio rack per inserire svariati effetti di mia creazione, dopo che era fallita l’idea di mio padre di farne un convenzionale combo con finale valvolare e ‘pre’ a stato solido. All’epoca avevo già realizzato altre cose ad uso personale, un preamplificatore per basso in sostituzione di un antiquato FBT con cui provavo con il gruppo, un semplice mixer per la registrazione nel nostro piccolo studio e alcuni apparecchi per uso casalingo.
A inizio estate del 1989, Emanuele mi propose di accompagnarlo nelle serate di piano-bar che avremmo potuto trovare proponendoci nei locali della Vallesina, come duo chitarra o piano e basso, cantando entrambi brani italiani e internazionali. Nel frattempo lui aveva acquistato la tastiera Korg M1, il micro-composer Roland MC50 con i floppy per memorizzare le basi, il conosciuto microfono per voce Sennheiser Profi-Power, aveva la sua elettrica, una delle prime Squier Made in Japan e il suo fido Mesa Boogie. A me era rimasto solo il Gibson Ripper e un compressore con cui avevo suonato negli ultimi tempi, mentre la cassa con finale incorporato della FBT era stata rivenduta, troppo ingombrante. Oltre a cambiare le vecchie corde del mio basso, acquistai un Sennheiser Black-Power per la voce e due nuove casse Electro-Voice Stage System 200 da abbinare al mixer amplificato a otto canali Yamaha da 120 watt per canale, che avevamo da diversi anni. Dati i bassi volumi richiesti da questo tipo di locali, le due casse erano sufficienti per far uscire il suono delle basi, spesso solo batteria e pianoforte, quando non lo suonava lui direttamente, facendo riposare la sua chitarra, del basso, dell’elettrica e delle voci. Se il brano lo richiedeva inseriva anche le parti di fiati, violini, percussioni e tutto quel che serviva per farlo suonare come sull’originale o quasi. Le basi le faceva da solo nella sua abitazione, stando spesso alzato fino a tarda notte. Il primo anno di prove trascorse per avere un repertorio di circa 200-300 brani e per preparare alcuni nastri da far ascoltare ai gestori dei locali, spesso molto diffidenti se ti spostavi oltre una certa distanza da casa. Io avevo il compito di trovare questi locali, presentare il duo e gestire tutta la parte meno artistica. Inoltre mi ero dedicato alla scrittura e stampa dei testi ed accordi con relativi rivolti di tutti i brani, avendo a disposizione un computer anche a casa, inseriti poi in tre pieni raccoglitori a testa.
Il nostro debutto in duo non fu tuttavia in un locale, ma all’aperto in una serata umida di giugno del 1990, aveva piovuto il pomeriggio ed stava per saltare l’esibizione, quando il cielo si aprì al tramonto, l’evento era la “Festa della Comunità” un ritrovo annuale che raccoglieva tanti ragazzi in tornei sportivi di vari sport, presso la parrocchia dove ci eravamo già esibiti anni prima e che non ci vedeva da diverso tempo. Suonammo per circa un’ora con il nostro impianto, non il massimo all’aperto, ma sufficiente secondo la platea. Per risolvere un problema di scossa elettrica, tra microfono e corde del basso, suonai stando sopra una busta di plastica che serviva da isolante. Registrammo anche l’audio dell’evento per risentirci. Durante quell’occasione un gruppo di ragazzini e ragazzine mi chiesero d’insegnare loro a suonare l’acustica, sempre utile in una comunità parrocchiale, sapendo che io avevo trascorso parte della mia adolescenza proprio in quei posti. Accettai con molto piacere cercando di preparare le lezioni al meglio ogni settimana.
A ottobre iniziarono le nostre serate nei locali, il primo che contattammo fu quello della famiglia Mancini, dell’attuale CT della nazionale di calcio italiana, gestito dalla sorella, che ci volle per tutto l’inverno nei venerdì e nel sabato. All’epoca questo tipo di locali erano molto frequentati da coppie o da gruppi di amici o amiche e non era necessario portarsi dietro dei fan, anche se spesso i nostri amici e amiche ci seguivano. Era presente anche un bel pianoforte a coda che non usavamo, ma faceva molta scena. Normalmente s’iniziava verso le 9.30 di sera quando iniziavano ad arrivare i primi clienti e si terminava verso le 2.00, con svariate pause per far uscire chi aveva già consumato e far accomodare le persone in attesa, i più coraggiosi si avvicinavano anche per le richieste di un brano o di un cantante. Abbiamo trovato tante nuove amiche in quel locale, da tanto tempo purtroppo chiuso. Seguirono tanti altri locali, quelli al chiuso per l’inverno e quelli aperti anche o solo d’estate. Un locale di una piccola cittadina ci offriva tre serate a settimana, compresa la domenica pomeriggio, perché nel periodo i frequentatori di questi locali chiedevano spesso di noi. Fino al 1994 quando Emanuele volle continuare da solo prima di trasferirsi a Milano, avevamo circa un centinaio di serate all’anno, più alcuni matrimoni. Fummo chiamati anche in un locale dove in genere si suonava cose più blues e jazz, adeguando il nostro repertorio con brani più adatti e lasciando molto spazio a brani strumentali e meno ai brani cantati. Ci contattò anche l’Avis che organizzava nella piazza principale di Jesi, una serata annuale per premiare i donatori di sangue, come supporto musicale, prima dell’evento vero e proprio. Negli anni successivi mi ricontattarono diverse volte, ma dovetti rifiutare a causa dello scioglimento del duo. In genere Emanuele cantava circa l’80% dei brani, un 10% io e il resto erano brani strumentali. Naturalmente spesso erano presenti cori, doppie voci, inoltre gli ero di aiuto nelle parti più alte nelle giornate in cui aveva poca voce o perché stanco per la lunga serata. Dati gli spazi spesso angusti in cui ci trovavamo a suonare e il non indifferente peso del Ripper, acquistai in seguito un basso Hohner attivo, prodotto su licenza Steinberger, molto più leggero e piccolo, lasciando il Gibson per le prove. Un episodio che ci capitò dovendo sostituire un trio che si esibiva negli stessi locali, quando il loro cantante che conoscevamo ci chiamò perché era senza voce, lo trovammo invece lì con la scusa di cantare qualche brano, che non avevamo in repertorio, improvvisando al momento note ed accordi per una mezz’ora buona. Terminai la mia esperienza di musicista di piano-bar quando cominciava a trovarsi molte basi midi, alcune anche ben fatte, per far cantare tutti in una sorta di karaoke con finta tastiera ornamentale.
Nel 1995 Emanuele si trasferì a Milano, nella casa della sua nuova compagna, trovando quasi subito un locale dove esibirsi da solista, con un nuovo repertorio più orientato alla musica napoletana e a quella latina, presso un ristorante con annessa una sala da ballo, non disdegnando comunque altri generi.
Con se doveva portarsi una nuova tastiera, il mixer, l’impianto voce e la sua Ramirez classica, con cui ha suonato tanti anni, alternandola alla sua elettrica con il combo che avevo progettato e costruito io nel 2006, protagonista del mio primo articolo qui su Accordo del lontano 2008. Per sua pigrizia e nonostante i miei consigli si fossilizzò troppo su quel primo locale, non distante da casa e con cui aveva nel tempo intrecciato un proficuo rapporto di lavoro, fino alla cessione e quindi alla chiusura dello stesso. Da svariati anni ha come primo lavoro un’attività che non gli permette di organizzarsi per poter suonare davanti ad un pubblico, per cui suona solo per se stesso nel suo piccolo studio casalingo.
Io oltre al lavoro da tecnico elettronico che svolgevo nel periodo, registrai dei miei brani, spesso scritti durante il periodo di leva e che avevo appuntato su nastro e su carta, registrando tramite microfono e midi con i mezzi di cui ero dotato nel lontano 2001, sperando fossero d’aiuto a mio fratello e come ricordo personale.
Tra le risorse ho inserito due brani del 1987 che avevamo composto e registrato con una batteria elettronica, per farli ascoltare al batterista e all’altro chitarrista. Io avevo scritto i testi con il primo che parlava degli inizi di una band, un classico, mentre il secondo di problematiche giovanili.
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